Pubblicato su politicadomani Num 87 - Gennaio 2009

Interruzione della gravidanza
Storia di una questione sensibile
Il dibattiti e la mobilitazione che si generano attorno al tema dell’aborto sono il segno che questa questione non può essere delegare al solo legislatore

di Marta Pietroni

È nel Settecento, il secolo del trionfo della ragione e della affermazione degli Stati nazionali che si ha un punto di cesura significativo nella storia dell’aborto. Le conoscenze scientifiche sviluppatesi nel Seicento, con la diffusione delle immagini del feto e la rappresentazione nella sua individualità e con la ridefinizione del concetto di gravidanza, ebbero nel secolo successivo ripercussioni sia sulla pratica abortiva sia sulla percezione dei soggetti e delle istanze coinvolti. È però a partire dalla Rivoluzione Francese (1789) che gli Stati nazionali si schierarono nettamente a favore del nascituro in quanto entità politicamente rilevante. Bisognerà attendere ancora due secoli, gli anni ‘70 del Novecento, perché venga dato, a livello legislativo, maggior conto alla volontà e alle scelte della donna. A far da sfondo ai cambiamenti di quegli anni c’è il cosiddetto “femminismo”, un fenomeno molto complesso, caratterizzato da scopi, metodi ed ideali spesso eterogenei, e segnato da dispute e contrapposizioni. Con un tratto unificante, però, quello della “politica del corpo”: una imprescindibile e assoluta rivendicazione di libertà sul proprio corpo, per cui la legislazione che penalizzava l’interruzione volontaria della gravidanza diventò l’emblema dell’espropriazione del corpo e dell’identità femminile. In questa fase prende forma l’idea dell’aborto come diritto civile, divenendo così da esclusiva pertinenza della donna, materia di pubblica discussione. Questo in Italia.
In Europa la svolta legislativa si ebbe in Inghilterra con l’Abort Act del 1967, anche se in realtà l’aborto veniva in parte tollerato già dal 1938. In Francia si varò la legge Veil nel 1975. Negli Stati Uniti la liberalizzazione dell’aborto fu raggiunta con la sentenza della Corte Suprema del 22 gennaio 1973. Negli Usa a favore della depenalizzazione dell’aborto si mobilitarono in modo massiccio di donne e uomini fin dal 1965 e ancora oggi il dibattito è acceso e animato da contrapposizioni anche violente. Se infatti, in Europa, le leggi in materia di aborto si basano sulla necessità di tutelare la salute della donna, negli U.S.A. l’aborto è stato sempre affrontato in chiave di diritti fondamentali, tanto da essere dichiarato diritto costituzionale. Il solo altro paese che lo preveda nella sua costituzione è il Sudafrica.
In Cina, per controllare la crescita demografica, il governo ha imposto un severo regime di controllo delle nascite che dura tuttora. La politica del figlio unico (pena pesanti multe e penalizzazioni), con la scelta preferenziale del figlio maschio, ad oltre 30 anni dalla sua applicazione, ha portato a gravi conseguenze di carattere psicologico e a squilibri sociali: in una società fatta quasi tutta di giovani uomini il rapporto fra individui diventa complicato.
In Italia l’anno della svolta fu il 1975, quando sul tema intervennero, con grande risonanza, la Corte Costituzionale e il Parlamento. La legge 194 - che regolamenta l’interruzione volontaria di gravidanza -  fu preceduta da un dibattito parlamentare durato alcuni anni e che vide in discussione diverse proposte di legge. È di quell’anno, in un clima culturale e politico molto particolare, l’intervento di Pier Paolo Pasolini che, in un contesto in cui la questione era già al centro del dibattito collettivo, ebbe un’ampia eco: sulle pagine del Corriere della Sera (19 gennaio 1975) lo scrittore si dichiarava contrario alla pratica abortiva giacché, a suo avviso, la legalizzazione dell’aborto voleva dire legalizzare un omicidio. Ne seguì un’accesissima polemica che faceva da eco al susseguirsi di proposte e bocciature in Parlamento e che continuò fino al 1978, anno in cui fu approvata in Senato la legge 194 del 18 maggio, con uno scarto di soli 12 voti (160 a favore e 148 contrari).
La Corte Costituzionale ha poi continuato ad occuparsi di aborto. Emblematica e fondamentale è la sentenza n. 37 del 1997 nella quale compaiono alcuni nuovi elementi tra i quali l’uso, ripetuto significativamente più volte, dell’espressione diritto alla vita, mai usata prima di allora.
Il dibattito sulla questione, tanto complessa quanto drammatica, resta aperto ed è animato anche a seguito dell’avanzamento della scienza e della farmacologia in fatto di modalità abortive come, per esempio, la cosiddetta “pillola del giorno dopo” (RU486), che rende l’utero inadatto all’annidamento dell’uovo fecondato, attorno alla quale  è sorta una importante e accesa discussione.
La vivacità del dibattito e la mobilitazione che si riesce a generare attorno al tema dell’aborto è il segno che non è possibile delegare al solo legislatore una questione tanto complessa che tocca le convinzioni più profonde e la sensibilità di ciascuno di noi.

Per approfondire:
G. Galeotti, Storia dell’aborto. I molti protagonisti e interessi di una lunga vicenda, Il Mulino, 2003 Bologna.

 

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